Le altre Malattie

Morbo di Alzheimer

La malattia di Alzheimer, detta anche morbo di Alzheimer, demenza senile di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer o semplicemente di Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa invalidante con esordio prevalentemente senile (oltre i 65 anni, ma può manifestarsi anche in epoca precedente).

La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer.

La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la limitata e comunque non risolutiva efficacia delle terapie disponibili, e le enormi risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive, organizzative ed economiche), che ricadono in gran parte sui familiari dei malati, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo.

Anche se il decorso clinico della malattia di Alzheimer è in parte specifico per ogni individuo, la patologia causa diversi sintomi comuni alla maggior parte dei pazienti. I primi sintomi osservabili sono spesso erroneamente considerati problematiche “legate all’età”, o manifestazioni di stress.

Epidemiologia

Morbo di Alzheimer

“La malattia di Alzheimer è definibile come un processo degenerativo che pregiudica progressivamente le cellule cerebrali”

Definita anche “demenza di Alzheimer”, viene appunto catalogata tra le demenze, essendo un deterioramento cognitivo cronico progressivo. Tra tutte le demenze quella di Alzheimer è la più comune, rappresentando, a seconda della casistica, l’80-85% di tutti i casi di demenza.
A livello epidemiologico, tranne che in rare forme genetiche familiari “early-onset” (cioè con esordio giovanile), il fattore maggiormente correlato all’incidenza della patologia è l’età. Molto rara sotto i 65 anni, la sua incidenza aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età, per raggiungere una diffusione significativa nella popolazione oltre gli 85 anni.

IN ITALIA NE SOFFRONO CIRCA 492.000 PERSONE E 6,6 MILIONI IN TUTTO IL MONDO

Patogenesi

La malattia è dovuta a una diffusa distruzione di neuroni, principalmente attribuita alla Beta-amiloide, una proteina che, depositandosi tra i neuroni, agisce come una sorta di collante, inglobando placche e grovigli “neurofibrillari”. La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello (si tratta di un neurotrasmettitore, ovvero di una molecola fondamentale per la comunicazione tra neuroni, e dunque per la memoria e ogni altra facoltà intellettiva). La conseguenza di queste modificazioni cerebrali è l’impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi, e quindi la morte dello stesso, con conseguente atrofia progressiva del cervello nel suo complesso.

A livello neurologico macroscopico, la malattia è caratterizzata da una diminuzione nel peso e nel volume del cervello, dovuta ad atrofia corticale, visibile anche in un allargamento dei solchi e corrispondente appiattimento delle circonvoluzioni.
A livello microscopico e cellulare, sono riscontrabili depauperamento neuronale, placche senili (dette anche placche amiloidi), ammassi neurofibrillari, angiopatia congofila (amiloidea).

Dall’analisi post-mortem di tessuti cerebrali di pazienti affetti da Alzheimer (solo in tale momento si può confermare la diagnosi clinica da un punto di vista anatomo-patologico), si è potuto riscontrare un accumulo extracellulare di una proteina, chiamata Beta-amiloide.

Sintomi e Clinica

Il decorso della malattia può essere diverso, nei tempi e nelle modalità sintomatologiche, per ogni singolo paziente; esistono comunque una serie di sintomi comuni, che si trovano frequentemente associati nelle varie fasi con cui, clinicamente, si suddivide per convenzione il decorso della malattia. A una prima fase lieve, fa seguito la fase intermedia, e quindi la fase avanzata/severa; il tempo di permanenza in ciascuna di queste fasi è variabile da soggetto a soggetto, e può in certi casi durare anche diversi anni.

Sintomi dell'Alzheimer

Diagnosi

La malattia di Alzheimer è di solito diagnosticata clinicamente dalla storia del paziente, da osservazioni cliniche, dalla presenza di particolari caratteristiche neurologiche e neuropsicologiche e per l’assenza di condizioni alternative.

Sistemi avanzati di imaging biomedico, come la tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica (MRI), la tomografia a emissione di fotone singolo (SPECT) o la tomografia ad emissione di positroni (PET) possono essere utilizzate per aiutare a escludere altre patologie cerebrali o altri tipi di demenza.. Inoltre, si possono prevedere il passaggio da fasi prodromiche(decadimento cognitivo lieve) alla malattia di Alzheimer.
Gli assessment neuropsicologici e cognitivi, inclusi i test di memoria ed esecutivi, possono ulteriormente caratterizzare lo stato della malattia. Diverse organizzazioni mediche hanno creato i criteri diagnostici per facilitare e standardizzare il processo diagnostico. La diagnosi clinica viene confermata a livello patologico solo con l’analisi istologica del cervello post-mortem.

Terapie e Trattamenti

Sono comunque state proposte diverse strategie terapeutiche per tentare di influenzare clinicamente il decorso della malattia di Alzheimer; tali strategie puntano a modulare farmacologicamente alcuni dei meccanismi patologici che ne stanno alla base. È inoltre opportuno integrare interventi psicosociali, cognitivi e comportamentali, che hanno dimostrato effetti positivi, sinergicamente all’uso dei presidi farmacologici, nel rallentamento dell’evoluzione dei sintomi e nella qualità della vita dei pazienti e dei caregiver.

Non esiste attualmente una cura per questa malattia.

INTERVENTO FARMACOLOGICO

In primo luogo, basandosi sul fatto che nell’Alzheimer si ha diminuzione dei livelli di acetilcolina, un’ipotesi terapeutica è stata quella di provare a ripristinarne i livelli fisiologici. L’acetilcolina pura non può però essere usata, in quanto troppo instabile e con un effetto limitato. Gli agonisti colinergici invece avrebbero effetti sistemici e produrrebbero troppi effetti collaterali, e non sono quindi utilizzabili.
Si possono invece usare gli inibitori della colinesterasi, l’enzima che catabolizza l’acetilcolina: inibendo tale enzima, si aumenta la quantità di acetilcolina presente nello spazio intersinaptico.
Sono a disposizione farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi, che hanno una bassa affinità per l’enzima presente in periferia, e che sono sufficientemente lipofili da superare la barriera emato-encefalica (BEE), e agire quindi di preferenza sul sistema nervoso centrale. Tra questi, la tacrina, il donepezil, la fisostigmina, la galantamina e la neostigmina sono stati i capostipiti, ma l’interesse farmacologico è attualmente maggiormente concentrato sugli inibitori reversibili della acetilcolinesterasi, come la rivastigmina e la galantamina stessa.

Un’altra e più recente linea d’azione prevede il ricorso a farmaci che agiscano direttamente sul sistema glutamatergico, come la memantina. La memantina ha dimostrato un’attività terapeutica, moderata ma positiva, nella parziale riduzione del deterioramento cognitivo in pazienti con Alzheimer da moderato a grave.

INTERVENTO PSICOSOCIALE E COGNITIVO

Le forme di trattamento non-farmacologico consistono prevalentemente in interventi comportamentali, di supporto psicosociale e di training cognitivo. Tali misure sono solitamente integrate in maniera complementare con il trattamento farmacologico, e hanno dimostrato una loro efficacia positiva nella gestione clinica complessiva del paziente

I training cognitivi (di diverse tipologie, e con diversi obbiettivi funzionali: Reality-Orientation Therapy, Validation Therapy, Reminescence Therapy, ecc.), hanno dimostrato risultati positivi sia nella stimolazione e rinforzo delle capacità neurocognitive, sia nel miglioramento dell’esecuzione dei compiti di vita quotidiana. I diversi tipi di intervento si possono rivolgere prevalentemente alla sfera cognitiva (ad es. Cognitive Stimulation Therapy), comportamentale (Gentlecare, programmi di attività motoria), sociale ed emotivo-motivazionale.

Positivo sembra essere anche l’effetto di una moderata attività fisica e motoria, soprattutto nelle fasi intermedie della malattia, sul tono dell’umore, sul benessere fisico e sulla regolarizzazione dei disturbi comportamentali, del sonno e alimentari.
Fondamentale è inoltre la preparazione e il supporto, informativo e psicologico, rivolto ai “caregiver” (parenti e personale assistenziale) del paziente, che sono sottoposti a stress fisici ed emotivi significativi, in particolare con l’evoluzione della malattia.